M77 presenta, da martedì 9 aprile a sabato 8 giugno 2024, il nuovo progetto espositivo dedicato all’artista Tino Stefanoni (Lecco, 1937-2017), che restituisce un prezioso affondo sulla ricca e variegata produzione dell’artista. Il progetto espositivo, a cura di Elizabeth Mangini, storica dell’arte e professoressa di Storia dell’Arte e Cultura Visiva al California College of the Arts di San Francisco, si snoda attraverso i due piani della galleria per costruire un racconto dagli anni sessanta al ventunesimo secolo. Si parte dalle opere storiche, che svelano la meticolosa esplorazione di Tino Stefanoni degli oggetti del quotidiano. A partire dagli anni Settanta tazzine da caffè, imbuti, bicchieri, mestoli, buste da lettera, borse dell’acqua calda e matite dominano il linguaggio visivo dell’artista, declinato su tavola, su ferro, su tela per poi estendersi fino alla scultura e all’installazione. Il percorso di mostra prosegue sino agli anni Ottanta, che vedono le ricerche dell’artista convogliate verso la rappresentazione frammentata di paesaggi dalle linee vaporose. Vicino alle ricerche del filone concettuale, Pop e minimalista, Stefanoni non aderisce direttamente ad alcun movimento e preferisce mantenere un approccio razionale, un gusto grafico che riduce i soggetti a segni pittorici e che si rinnova nel corso del tempo attraverso la continua sperimentazione di nuove tecniche. Serie come “Tavole” o “Elenco di cose” rivelano il processo creativo dell’artista, che investe gli oggetti e le immagini di un’atmosfera a volte più rarefatta altre volte rigorosa e austera. Solo negli anni Ottanta l’artista approda al quadro dipinto, il cui esito ricorda da vicino le composizioni metafisiche di Carrà e De Chirico. In questa fase Stefanoni predilige atmosfere irreali; evidenzia i pochi elementi dei suoi paesaggi e li riduce a semplici forme geometriche. Con intelligenza, rigore e un pizzico di ironia, Tino Stefanoni ha esplorato l’apparenza del quotidiano per rintracciarne l’essenza. Con la mostra Tino Stefanoni: La ricerca delle cose M77 annuncia l’inizio della rappresentazione dell’Archivio Tino Stefanoni. Questa collaborazione si inserisce all’interno del progetto di ricerca che la galleria coltiva dal 2018, focalizzato sulla valorizzazione di artisti italiani storicizzati meno noti al grande pubblico che hanno contribuito attivamente ed in maniera sostanziale allo scenario artistico contemporaneo. Da Maria Lai ad Emilio Isgrò, da Alberto Biasi a Grazia Varisco, solo per citarne alcuni, la galleria continua a tracciare un percorso espositivo caratterizzato dal ripercorrere, con un approccio nuovo e a tratti sperimentale, le tappe fondamentali della storia dell’arte del dopoguerra italiano ed oltre. Accompagna il progetto espositivo un catalogo pubblicato da M77 per l’occasione, che alla documentazione fotografica della mostra affianca l’introduzione di Elizabeth Mangini e il testo di Luca Beatrice, curatore e critico d’arte. |
CONTATTI STAMPA PCM Studio di Paola C. Manfredi Via Carlo Farini, 70 – 20159 Milano press@paolamanfredi.com | www.paolamanfredi.com Elvira Perlingieri | elvira@paolamanfredi.com | +39 349 438 3062 INFORMAZIONI Tino Stefanoni: La ricerca delle cose A cura di Elizabeth Mangini 9 aprile – 8 giugno 2024 M77 Via Mecenate 77, Milano info@m77gallery.com | www.m77gallery.com Tino Stefanoni (06/07/37 – 02/12/17), nato a Lecco, ha studiato al Liceo artistico Beato Angelico e alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Da più di cinquant’anni è presente nel mondo internazionale dell’arte. Il lavoro di Tino Stefanoni, pur non appartenendo in senso stretto a quello dell’arte concettuale, di fatto si è sempre sviluppato nella stessa area di ricerca. Ha sempre guardato al mondo delle cose e degli oggetti del quotidiano, proponendoli nella loro più disarmante ovvietà, come tavole di un abbecedario visivo o pagine di un libretto d’istruzioni dove le immagini sostituiscono le parole. A differenza del mondo animale e del mondo vegetale che non sono di pertinenza dell’uomo, il mondo delle cose è invece l’unico segno tangibile della sua esistenza, e quindi di sua proprietà, traccia del suo pensiero e della sua storia dove si possono creare arte e bellezza che non sono l’arte e la bellezza della natura. E’ evidente, nella ricerca, l’interesse a voler presentare le cose più che a volerle rappresentare e, al tempo stesso, a rivestirle di sottile ironia e magia tratte da un’operazione asettica come in un sogno lucido, per intenderci, che può far convivere elementarità e mistero, due elementi che per loro natura non sono affatto prossimi ma vicini per contrappunto. Negli ultimi dipinti, dove i canoni della pittura classica (nel senso stretto del termine) sono volutamente esasperati a favore di una didattica del pittorico (luce chiaroscuro disegno colore), il mondo delle cose si carica naturalmente di significati metafisici. Gli stessi significati dei dipinti dal tratto nero e sfumato definibili come sinopie dei precedenti. L’incantato disincanto – La pittura come oggetto – Lo stato dei fatti – L’ironia oggettiva – L’illusione svelata – Amori platonici – Emoticon – Metafisica del quotidiano- Ironia poesia e così sia – Magica concettualità – L’enigma dell’ovvio – Pittura della mente, sono alcuni significativi titoli di testi scritti sulla sua opera. Il finto incantamento, dunque, della sua pittura apparentemente classica, traveste il momento lirico-concettuale del suo lavoro tutto rigorosamente razionale e, per assurdo, <<sentimentalmente razionale>>, al punto da voler sottolineare che la pittura è null’altro che un oggetto per la mente come la sedia, il tavolo o il letto sono oggetti per il corpo. Elizabeth Mangini è una storica dell’arte specializzata in storie sociali dell’arte del dopoguerra e dell’arte contemporanea, in particolare dell’arte europea degli anni Sessanta-Settanta. È docente e guida il programma di Storia dell’Arte e Visual Culture del California College of Arts, San Francisco. Ha scritto e approfondito in maniera estensiva nel corso delle sue lezioni l’arte italiana del dopoguerra, sua area di specializzazione. Il suo volume monografico “Seeing through Closed Eyelids: Giuseppe Penone and the Nature of Sculpture” è stato pubblicato dalla University of Toronto Press nel 2021 e nel 2023. Mangini collabora abitualmente con Artforum, dove si occupa di critica e saggi storici. Nel 2014 ha curato “The Years of Lead: Italian Visual Culture in 1970s”, un volume di Palinsesti, periodico di Italian Contemporary Art di cui è parte del comitato scientifico. I suoi scritti sono apparsi su Art Journal, Eikon, Enthymema, Performing Art Journal e Photofile. Tra le sue recenti pubblicazioni figurano gli studi dedicati a Giovanni Anselmo, Jannis Kounellis, Marisa Merz e Gilberto Zorio, così come il saggio sui Nature Carpets di Piero Gilardi per Magazzino Italian Art, sui dipinti di Sergio Lombardo in occasione della mostra al MAMBo, sui disegni di Joan Jonas per il Wattis Institute of Contemporary Art, sugli Artypos di Mimmo Rotella per la Galleria Nazionale di Roma. La professoressa Mangini è stata membro del comitato scientifico dell’Instituto Mimmo Rotella e ha ricoperto incarichi come curatrice e membro associato del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis, del MASS MOCA. |